Negli ultimi mesi si sente molto parlare di queste due tipologie di certificati ed è bene fare chiarezza.
In primis io ho sempre detto una cosa sui certificates (che tutti sempre mi sconsigliano di dire perché non è una frase commercialmente adatta):
Il bello dei certificati è che sai fin da subito di che morte morire
Ovviamente io considero il lato positivo della frase, ossia che coi certificati si sa tutto prima (strike, cedola, scadenza, possibile autocall) mentre con tante altre forme di investimento che a me non piacciono (Fondi e gestioni patrimoniali) si rischia di avere sempre delle sorprese ottenendo risultati ben lontani dal benchmark di riferimento, quasi sempre per i costi sostenuti o per l’incapacità dei gestori di sovraperformare i mercati.
È chiaro che se in un certificato cominci ad inserire clausole che avvantaggiano l’Emittente che può disporre “arbitrariamente” dei tuoi soldi, comincio a storcere il naso, anche se potrei comprare qualcosa (pur nell’incertezza del rimborso) unicamente per il rendimento offerto che deve essere ovviamente più alto a parità di condizioni, rispetto ad un certificato con autocall ben definita e certa.
Parlo ovviamente dei certificati “callable” o “softcall” in cui il rimborso è a discrezione dell’Emittente, e questa cosa a me piace poco, anche se devo ammettere che in certi casi il rendimento è particolarmente interessante.
Anche i “decrement” devono avere, a parità di condizioni, un rendimento supplementare rispetto ad un certificato non decrement, ma non sempre questo è vero e lo vedremo poi nel confronto che ho riportato in questo articolo.
Tramite il loro utilizzo come sottostanti, gli Emittenti riescono ad offrire caratteristiche superiori alla media dei prodotti strutturati in maniera classica.
I certificati tradizionali vengono strutturati facendo ricorso all’utilizzo dei dividendi stimati e pertanto eventuali discrepanze future possono generare un ritorno o una perdita per l’Emittente; nel 2020-2021 con i dividendi, soprattutto delle banche, ridotti o cancellati, gli Emittenti hanno perso tanti soldi per cui hanno cominciato a sottostimare i dividendi futuri, con la conseguenza che rispetto al passato, a parità di altre condizioni di mercato, le caratteristiche dei nuovi prodotti sono risultate inevitabilmente peggiorative.
Nel marzo 2022, con l’incertezza dovuta anche allo scoppio della guerra in Ucraina abbiamo visto differenze enormi in emissione, tanto che il miglior prodotto del 2022 è risultato di gran lunga essere il certificato airbag emesso da Citigroup su indici decrement legati a Intesa Unicredit e Socgen che ha reso il 21% annuo ed è andato a rimborso in aprile di quest’anno.
Importante è sapere cosa sono e quali opportunità offrono: rendimenti maggiori a fronte della certezza che ha l’Emittente di finanziare la struttura con quel dividendo indipendentemente che questo venga o no pagato.
A tal proposito vi segnalo due ottimi certificati entrambi emessi da Citigroup ed entrambi decrement per farvi notare che esistono diversi indici decrement su uno stesso titolo, nel caso specifico parliamo di Stellantis.
Ma analizziamoli uno per uno:
Codice Isin: XS2581830705 emesso da Citigroup con scadenza 5 anni
Barriere al 35%, trigger cedola al 60% e rendimento dell’1% al mese su due soli titoli.
Decisamente apprezzato dal mercato.
Codice Isin XS2581829954 emesso da Citigroup scadenza 5 anni
In questo caso si sono aggiunti due titoli e si è abbassato il trigger cedola al 40% così da ottenere una cedola mensile dello 0.70%.
Pochi probabilmente farebbero attenzione al dividendo stimato di Stellantis (anche quello di Volkswagen è diverso): nel primo caso il dividendo stimato su Stellantis è pari a 1,34€ e quello di Volswagen è pari a 8,76€, mentre nel secondo caso il dividendo stimato di Stellantis è pari a 0.90€ e quello di Volkswagen è pari a 7,17€.
Per cui di certo possiamo dire con sicurezza che le barriere del secondo sono più difensive in quanto se Stellantis continuerà a staccare dividendi generosi come quello appena pagato (ma anche se non dovesse pagarli) sicuramente lo spot dell’indice Stellantis assumerà valori diversi nei due certificati col passare degli anni per arrivare a scadenza (5 anni) e differire per quanto riguarda Stellantis di oltre 2€ (per la precisione (1.34-0.90) x 5 = 2,20€ pari a quasi il 15% dello strike iniziale.
A prima vista dunque sembra di gran lunga migliore il primo, ed in effetti io ho comprato quello, ma visto che l’Emittente è lo stesso e la volatilità al momento dell’emissione era la medesima, penso che le protezioni del secondo siano decisamente più elevate anche rispetto ad un prodotto con gli stessi sottostanti senza “decrement”.
Per cui non bisogna mai fermarsi al primo giudizio o sparare a zero su questa o quella struttura solo perché è “decrement” o “callable”, ma analizzare attentamente se il rendimento è congruo per quel tipo di struttura e sapere che l’autocall a discrezione dell’Emittente entra in funzione solo con i sottostanti ad almeno +15% o +20% e se il rendimento è particolarmente penalizzante per l’Emittente.
Ma di queste cose e tanto altro ancora parleremo al mio prossimo webinar del 20 giugno alle ore 14.
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Martedì 20 giugno ore 14.00
Giovanni Borsi