Quando l’offerta non riesce a soddisfare la domanda.
La catena di approvvigionamento globale si trova in uno stato di grande confusione, crisi nella produzione di semiconduttori, materie prime alle stelle, il paradosso della carenza di personale quando ci sono milioni di persone in cerca di un impiego, lo shortage di manodopera colpisce maggiormente il settore marittimo, sanitario, alberghiero, logistica, ristorazione, con inevitabili ritardi nelle consegne, e le continue perturbazioni sembrano non trovare soluzioni almeno nel brevissimo termine e potrebbero spingere l’intero sistema sull’orlo di un collasso.
Questo maledetto virus non ha messo in crisi solo i sistemi sanitari mondiali ma anche evidenziato la fragilità e la dipendenza nel mondo della supply chain affidata colpevolmente a pochi player.
La pandemia ha fatto esplodere in tutto il globo la “Smartmania”, ovvero una corsa sfrenata all’acquisto di qualsiasi dispositivo Smart (smartphone, smart tv, smartwatch, smart working, smart home, tutto smart e interconnesso, elettrodomestici che dialogano tra di loro, sensori e telecamere ovunque, algoritmi che indirizzano, controllano e governano le scelte degli utenti finali, come se finora avessimo vissuto in un mondo “pre smartstorico” un mondo dummie…
La continua richiesta di dispositivi che ricorrono a piccoli computer e che possono connettersi ad internet ha fatto esplodere in maniera esponenziale la domanda dei microchip, domanda che non riesce ad essere soddisfatta creando ritardi in quasi tutti i settori e causando un aumento dei prezzi che di certo non aiuta la piena ripresa economica; le cause sono tante ma la scelta di concentrare la produzione in Asia e in una piccola cerchia di paesi non si è rivelata lungimirante.
L’America è lo stato dove queste diffuse carenze sono state segnalate maggiormente, ma la situazione potrebbe salire a un livello ancora più preoccupante e del tutto nuovo nelle prossime settimane, dato che milioni di lavoratori della supply chain stanno minacciando di licenziarsi e di lasciare il loro lavoro se non ci saranno maggiori tutele e miglioramenti contrattuali con cospicui aumenti salariali.
Negli ultimi 18 mesi, i marittimi, i camionisti e i lavoratori delle compagnie aeree hanno affrontato severe restrizioni negli spostamenti, cambi di equipaggio impossibili da effettuare come il caso delle nostre navi che sono rimaste fuori dai porti cinesi per mesi prima che le diplomazie dei paesi interessati trovassero una soluzione situazione che ha lasciato circa un milione di lavoratori bloccati in mare per quasi un anno.
Dopo un periodo tanto complicato, i lavoratori sono purtroppo arrivati ad un punto di rottura e stanno pensando seriamente di lasciare le proprie occupazioni lavorative, aggiungendo un’ulteriore incognita e un enorme rischio per i porti congestionati, le navi container e le compagnie di trasporto.
Attualmente la situazione è particolarmente grave in alcuni porti americani dove si è formato un vero e proprio imbuto, decine di navi da carico arrivano quotidianamente e devono aspettare giorni per essere finalmente scaricate.
Nei porti di Los Angeles e Long Beach, almeno 75 navi da carico trasportano l’impressionate cifra di 500.000 container e nessuno sembra sapere cosa fare e come gestire l’arretrato senza precedenti, dal momento che non ci sono abbastanza operatori portuali per svuotare tutti quei container.
Un evento simile nei porti statunitensi non è mai capitato e mai hanno affrontato una congestione così acuta e che si protrae da mesi, per questo non avendo similitudini storiche a cui aggrapparsi si fa maggiore fatica a trovare una soluzione.
A peggiorare la situazione si aggiunge l’arretrato di container dall’altra parte del mondo che è ancora più grande, dal momento che in Cina si trovano otto dei 10 porti più trafficati al mondo, secondo eeSEA (una società che analizza gli orari dei cargo trasportatori), ci sono più di 240 navi container che sono in attesa dell’attracco e quasi 150 di queste solo nei porti di Shanghai e Ningbo, 50 in più rispetto alla media da aprile ad agosto.
La congestione nei porti cinesi significa che il flusso delle esportazioni verso gli importatori statunitensi è significativamente limitato.
Tutto questo crea grandi preoccupazioni sia per i piccoli venditori al dettaglio che per le grandi catene di distribuzione, che fanno fatica a rifornire le loro scorte prima dell’intensa stagione dello shopping natalizio che sperano ancora possa farli recuperare quanto perso finora a causa della pandemia.
I tempi di attesa sono più che raddoppiati e i ritardi nelle spedizioni sono diventati la norma, per darvi l’idea dell’enorme aumento e di quanto il trasporto marittimo sia fuori controllo basti pensare che in soli cinque mesi i costi sono aumentati del 300 %.
La ripresa dei traffici dopo il lockdown, in particolare dalla Cina verso gli Stati Uniti, e la penuria di container, hanno fatto schizzare il costo dei noli marittimi. Fino a qualche settimana fa il costo dell’invio di un container dall’Asia alla costa occidentale americana si attestava sui 18000 dollari, secondo l’indicatore di riferimento, il Freightos Baltic Global Container Index, ad aprile 2021 lo stesso container costava circa 4800 dollari, solo un anno fa era attorno ai 2500 dollari!
Molti americani si affidano ancora alla falsa idea patriottica che le carenze diffuse non diventeranno mai una realtà nella nazione più prospera del mondo, molto presto si accorgeranno che le carenze sono già di attualità e persisteranno per mesi. Gli impreparati sono di solito quelli che finiscono per diventare compratori da panico.
In Italia viviamo un momento storico che definirei “sospeso”, nel quale la prospettiva di crescita per l’anno in corso è sopra la media attesa a livello mondiale ed europeo, il doppio di quella tedesca, è pur vero che siamo stati per anni il fanalino di coda del vecchio continente, con crescita dello zero virgola…e questo sembra più un naturale rimbalzo e una conseguenza dovuta alla stima internazionale di cui gode il Premier Mario Draghi.
I media coprono interamente questioni legate alla campagna vaccinale, agli scontri di piazza, al green pass che riempie qualsiasi talk o trasmissione, a piccole scaramucce politiche, ma non sembrano essere per niente allarmati per il peggioramento di questa crisi mondiale e per le probabili ripercussioni economiche che colpiranno inevitabilmente il nostro paese.
Nei grafici non c’è traccia di questi timori, né alcun pattern che evidenzi un minimo di debolezza, il nostro indice dopo aver rotto la lunghissima congestione di prezzi che durava da ben 15 anni sembra essere proiettata verso livelli che non si vedevano da prima della crisi Lehman e fin quando questi timori non saranno espressi anche nei valori di prezzo non comprare assets o addirittura provare ad “indovinare” un’inversione è “roba” che noi lasciamo volentieri ai maghi consulenti che inondano il web, ai professionisti della “Fuffa o al “trader meteorologico” che descriveremo nella prossima puntata dei “Tradengers”.
Biagio Spinelli